28/06/11

Lucio Mastronardi: "Corrici dietro!"

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Ero così innamorato di Claudia, che accettai un invito a pranzo a casa sua.

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Figlio mio, perché ti vai a buttare via?
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– Io te l’ho detto, figlio mio. Divertiti. Ma non comprometterti mai!
– Ah, dissi, guardandolo severo, congratulazioni. Grazie per i generosi consigli.
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Salutai la madre, che, nel stringermi la mano seguitava a strizzare l’occhio. – Non se n’abbia a male, ma io non ci credo che sia innamorato della mia Claudia.
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Arrivati sull’orlo di un boschetto scendemmo. Mentre camminavamo su di un fradicio ponticello, Ercolino diceva:
– Ecco le cose in mano al Comune. Un privato chissà che ponte ciavria fatto. Qui c’è il rischio che si squagi, e finire dentro l’acqua. Socializzate. Sgarate dané. Mantenete pelandroni. Tanto paga Pantalone. Soffocate l’iniziativa privata. V’incorgerete.
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Camminammo fino alla riva del fiume. L’aria era larga e fredda. Lo sciacquare del fiume si confondeva col mormorare delle foglie. Ci fermammo a guardare delle barche attaccate a una catena. Barbellavo di freddo. Ercolino faceva riflessioni sul mormorare delle foglie. E sulla libertà.
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Stavamo camminando verso la sua casotta, che, in quel chiaroscuro pareva una piccola villetta. Ercolino l’aprì. Mi trovai in una specie di sala, con sofà, lampadari, frigor, poltrone. In un angolo c’era un motore di motoscafo; nell’altro una barca; negli altri, equipaggiamenti di pesca, e di pesca subacquea. Di ogni oggetto mi disse il prezzo. Sulle pareti erano incorniciate riproduzioni di quadri: la Primavera del Botticelli; la Maia Desnuda; e altri nudi.
– Io amo l’arte! diceva Ercolino uscendo dal frigor dei Campari.
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Io ero seduto in mezzo fra marito e moglie. Dati i tavolini e la gente che c’era, stavamo stretti. L’aria era un urlare di canti. Nives aveva un sguardo fra il nervoso e l’avvilito. Sentivo che doveva succedere qualchecosa. Nemmeno lei mangiava.
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– Biglietto ferroviario, ripeté lei. Mi diceva: Nives devo andare a Firenze, a Roma, sul Veneto, affari, campionari, clientela; starò via un pari di giorni o tre. E mè a preparargli le valigie e stare in pena per lui, che invece era qui, nella casotta con qualcuna.
– Non ci credere!
– E quando tornava mi mostrava i biglietti del treno. Tutto a posto. Tutto in regola; meno una roba: che non erano bucati!

– Corrici dietro!

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Dopo un attimo di silenzio, dissi:
– Ho rotto tutto!
Mio padre balzò dal letto.
– Davvero?
– Tutto finito!
– Figlio mio?
[...]

– Sicché io dovrei fare l’uomo sandwich?

[...]


(Tratto da A casa tua ridono e altri racconti, Einaudi, Torino, 2002. Il racconto Gli uomini sandwich è apparso per la prima volta come un’appendice del libro Gente di Vigevano, nel 1977, insieme al racconto La ballata dell’imprenditore)

[a Federica, grazie per prestarmi gli occhi...]

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